COMPRO ORO. COMPRENDERE LE OPERAZIONI SOSPETTE DA SEGNALARE AI FINI DELLA NORMATIVA ANTIRICICLAGGIO

Le imprese che esercitano attività relativa al commercio di oro da investimento e dell’oro a uso industriale, sono soggetti alla normativa antiriciclaggio prevista dal d.lgs.231/2007 e successive modifiche, prima tra tutte quelle operate dal d.lgs.125/2019, e dal d.lgs. 92/2017 riguardante nello specifico le disposizioni per l’esercizio dell’attivita’ di compro oro.

Il settore dei compro oro è attentamente monitorato dagli ispettori della guardia di finanza, che spesso elevano processi verbali di constatazione a carico dei presunti trasgressori la normativa in vigore.

In una recente vicenda, un compro oro era stato sanzionato dal Ministero dell’economia e delle finanze a seguito di ispezione e multato, per la cifra di euro 5.000,00, per violazione delle disposizioni antiriciclaggio di cui all’art. 7, commi 1 e 2, del d. lgs. 25.5.2017, n. 92, in relazione all’omessa segnalazione di alcune operazioni sospette effettuate da clienti della società.

Il compro oro aveva proposto ricorso avanti al Tribunale della capitale, organo competente per questo genere di vertenze. Il ricorrente chiedeva al Tribunale adito di accogliere il ricorso e di provvedere nel merito, accertare e dichiarare illegittimo e perciò improduttiva di effetti giuridici la sanzione amministrativa applicata.

Nei fatti, la società era regolarmente iscritta nel registro degli operatori professionali del commercio di oro tenuto dalla Banca d’Italia ai sensi dell’art. 1, comma 3, della legge 17.1.2000 n. 7, nonché nel registro degli operatori compro oro tenuto dall’Organismo Agenti e Mediatori (“OAM”).

Con processo verbale l’ente accertatore aveva contestato l’omessa segnalazione all’Unità di Informazione Finanziaria per l’Italia (“UIF”), nonostante la sussistenza di alcuni indicatori generali di anomalia previsti dal decreto del Ministero dell’interno del 17.2.2011; in modo particolare, la sussistenza di sospette transazioni era dedotta dal fatto che vi fossero:

(i) operazioni di vendita di oro e preziosi eseguite da quattro clienti della società, tutti stranieri residenti allo stesso indirizzo, effettuate in un arco temporale ristretto di 30 giorni;

(ii) operazioni eseguite da un altro cliente, italiano, gravato da numerosi precedenti di polizia specifici del reato di riciclaggio, nonché destinatario di provvedimenti di sequestro finalizzati alla confisca.

Nella ricorso l’opponente riteneva che il decreto fosse illegittimo, in quanto:

  • in primo luogo, perché gli indicatori generici di anomalia elencati nel decreto del Ministero dell’interno non si applicano ai cd. “compro-oro”, ma solo agli operatori soggetti alla normativa antiriciclaggio (intermediari finanziari, banche, professionisti e altri soggetti ivi indicati) e, comunque, la sussistenza di uno o più indicatori non comporta necessariamente l’obbligo della segnalazione, fondato su una compiuta valutazione degli elementi raccolti dall’operatore nell’ambito della “adeguata verifica” della clientela;
  • inoltre, le operazioni contestate non destavano alcun sospetto perché erano state di modico valore (complessivamente circa mille euro) e nessun collegamento emergeva fra i quattro clienti;
  • per quanto atteneva al cliente italiano, i precedenti giudiziari non erano noti all’operatore;
  • infine, l’obbligo di “adeguata verifica” della clientela non era applicabile ai “compro-oro”, tenuti a procedere alla sola identificazione del cliente attraverso la generalizzazione e l’acquisizione di copia del documento di riconoscimento, secondo quanto previsto all’art. 18, primo comma, lett. a), e all’art. 19, primo comma, lett. a), d. lgs. n. 231/2007;

Il Tribunale respingeva ogni eccezione, in quanto:

– il compro-oro svolge attività di commercio all’ingrosso di rottami in oro, in virtù di apposita licenza: da ciò deriva che, in quanto operatore professionale in oro di cui alla legge 17.1.2000, n. 7, è soggetto obbligato all’osservanza della disciplina antiriciclaggio, come disposto dall’art. 10, comma 2, lett. e), n. 1, d. lgs. n. 231/2007 nel testo applicabile ratione temporis alla fattispecie;

– l’obbligo di segnalazione risponde ad esigenze cautelari e di prevenzione: pertanto non si richiede la certezza che il cliente abbia realizzato operazioni finalizzate al riciclaggio di beni di provenienza illecita, essendo sufficiente l’esistenza di un sospetto semplice, ma giustificato dalle circostanze del caso concreto, conoscibili mediante l’adozione degli accorgimenti esigibili dall’obbligato;

– che tale sospetto deve essere il risultato di una valutazione che tiene conto degli elementi oggettivi riferibili all’operazione contestata (quali l’entità o la natura delle operazioni), del loro collegamento o frazionamento nel tempo, nonché dei profili soggettivi del cliente (come la capacità economica e l’attività svolta) ed infine di ogni altra circostanza conosciuta dal soggetto obbligato in ragione delle funzioni esercitate (cfr. Cass. n. 20647 del 2018);

– che, di conseguenza, anche in presenza di una pluralità di operazioni eseguite in un ristretto arco di tempo, potrebbe non essere necessario procedere alla sudddetta segnalazione laddove le attività di compravendita risultino giustificate dalle circostanze che caratterizzano il caso concreto come, ad esempio, l’attività economica notoriamente svolta dal cliente (cfr. Cass. n. 23017 del 2009); che, invece, nel caso di specie le condotte contestate trovavano corrispondenza in quanto disposto sia nel d.m. Interno 17.2.2011 (cfr. in particolare gli “indicatori specifici di anomalia relativi alle attività di fabbricazione, mediazione e commercio, comprese l’esportazione e l’importazione di oggetti preziosi”), sia negli indicatori di anomalia richiamati dall’art. 7, comma secondo, del d. lgs. n. 92/2017 (volti a monitorare il settore dei compro oro), con conseguente applicazione delle sanzioni previste dall’art. 10, comma 3, del medesimo d. lgs. n. 92/2017;

– che, a tal proposito, a supporto delle su indicate contestazioni l’agente accertatore aveva evidenziato la violazione e/o comunque il mancato rispetto di alcuni indicatori generali di anomalia previsti dal decreto del Ministero dell’Interno del 17.2.2011, rubricato “Determinazione degli indicatori di anomalia al fine di agevolare l’individuazione delle operazioni sospette di riciclaggio da parte di talune categorie di operatori non finanziari”;

-che, in particolare, con riferimento alle operazioni contestate era stato evidenziato che la parte ricorrente avrebbe violato i seguenti indicatori generali di anomalia: 1) “operazioni, specie se effettuate in contanti, disposte da più clienti recanti lo stesso indirizzo”; 2) “acquisto o vendita di uno o più beni di valore in un ristretto arco di tempo, soprattutto se per importi complessivamente molto differenti”;

– che, come documentato, rispondeva al vero l’identità della residenza dei quattro clienti che si erano alternati nella vendita, una circostanza ragionevolmente conoscibile da parte del compro oro;

– alla luce delle considerazioni svolte, anche la varietà dei beni oggetto delle compravendite e il loro modico valore sono elementi che secondo la comune esperienza possono generare il sospetto, in capo a una persona di media levatura intellettuale, che le cose ricevute o acquistate non potevano essere possedute legittimamente da chi le offriva;

-il compro oro avrebbe dovuto interrogarsi sulle ragioni per cui esse venivano eseguite nonché sulla natura del legame che univa i clienti;

-che, con riferimento alle operazioni contestate, era stata evidenziata dall’agente accertatore la violazione del seguente specifico indicatore generale di anomalia di cui al d.m. Interno: “il cliente richiede prestazioni tese a dissimulare l’origine illecita di capitali ed è noto per essere stato sottoposto a procedimento penale oppure a provvedimenti di sequestro”;

-che era priva di pregio l’osservazione per cui i precedenti del cliente non fossero noti né potevano esserlo non essendo conosciuto di persona dall’addetto che eseguì l’operazione di compravendita: ai sensi del d.m. Interno, infatti, l’operatore “[…] in ogni caso, è tenuto a valutare le operazioni che presentano profili di eventuale anomalia anche in assenza di un impulso riveniente da collaboratori o di- pendenti”;

-che per ottemperare all’obbligo segnaletico il ricorrente avrebbe dovuto valutare con più attenzione le anomalie in modo da dare rilevanza al sospetto che, ai sensi dell’art. 35 del d. lgs. n. 231/2007 “è desunto dalle caratteristiche, dall’entità, dalla natura delle operazioni, dal loro collegamento o frazionamento o da qualsivoglia altra circostanza conosciuta, in ragione delle funzioni esercitate, tenuto conto anche della capacità economica e dell’attività svolta dal soggetto cui è riferita”;

-che, tra l’altro, la segnalazione di operazioni sospette non costituisce una denuncia né presuppone la certezza della sussistenza di fatti penalmente rilevanti, bensì una segnalazione da inviare alla UIF in modo da attuare eventuali verifiche ed approfondimenti ai fini della prevenzione del reato di riciclaggio;

-che tali circostanze sono pertanto pienamente sussumibili nei corrispondenti indici di anomalia di cui al citato d.m. Interno 17.2.2011.

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